Esiste un parco immerso nel bosco, a poco più di 700 m sul livello del mare in provincia di Vicenza, che offre un perfetto connubio tra natura e arte contemporanea: il Parco del Sojo.
Un luogo nato per caso, dopo la decisione di Diego Morlin – architetto – di acquistare un’area abbandonata a Covolo di Lusiana per poter trascorrere del tempo con la famiglia nei fine settimana.
“Ho chiesto a mio padre che era un artista, di realizzare quattro giganti a protezione della casa: il buffone, lo gnomo, il carabiniere e il cardinale.
Erano gli anni novanta, ma il tempo è volato e i figli sono cresciuti velocemente. Ogni tanto avevamo amici che venivano quassù a trovarci e ascoltando i loro consigli ho iniziato a commissionare opere d’arte a vari artisti che sentendosi ispirati in tanta bellezza, hanno realizzato dei capolavori che oggi costeggiano i vari percorsi intorno alla casa.
Il numero di visitatori però è cresciuto in maniera importante nel corso degli anni e arrivava di tutto, ma non era quello che volevamo; così abbiamo creato un’associazione e definito un biglietto d’ingresso con prenotazione fortemente consigliata. Ora godiamo della visita di persone con una certa affinità che sanno godere ed apprezzare quello che li circonda.”
Si tratta di un percorso che parte dal centro del paese non adatto a carrozzine e passeggini e senza punti di ristoro all’interno.
Si parcheggia l’auto accanto al cimitero e seguendo le indicazioni ben posizionate si sale verso il parco ammirando già le prime opere.
Dopo circa una mezz’oretta si arriva al vero e proprio ingresso del parco, dove si paga il biglietto e si riceve una mappa; il tempo di visita si aggira intorno all’ora e mezza.
E’ una sorta di “caccia all’opera” e le installazioni sono le più disparate, realizzate anche da artisti stranieri oltre che dal fratello Gianluca, erede dell’azienda di ceramiche del padre Severino, famoso artista di Nove.
Svelare tutti i segreti di questo giardino artistico non sarebbe corretto, ma attenzione alla galleria della prima guerra mondiale che si trova lungo il percorso. All’interno, oltre ad un’opera che potrebbe rivelarsi un po’ spaventosa, vi abita una coppia di innocui pipistrelli.
Un aspetto degno di nota è la ristrutturazione di due calcare del 1800, una delle quali tra le più grandi dell’Altopiano di Asiago; un’attività diffusa grazie alla massiccia presenza di legna e pietra calcarea.
Rimaste in attività fino agli anni ‘30 per produrre calce necessaria all’ottenimento della malta, le calcaree erano state ormai inghiottite dalla natura ed oggi testimoniano un aspetto che ha caratterizzato per molti anni la vita degli abitanti del luogo.
Le parole d’ordine in questo luogo sono bellezza, tranquillità, rispetto e allora buona visita.